aggiornato il 19/11/2010 alle 16:06 da

Medico arrestato per tentato omicidio

GIOIA – omicidio-gioiaSu ordine di custodia cautelare emesso dal Gip del Tribunale di Bari, su richiesta della Procura della Repubblica del capoluogo pugliese – con le accuse di tentata estorsione, tentato omicidio e falsità materiale e ideologica commessa da pubblico ufficiale – è da ieri mattina agli arresti domiciliari, nella sua abitazione di Taranto, Roberto Giannico, 50 anni, dermatologo, ex dirigente medico della Colonia Hanseniana di Gioia del Colle, gestita dall’Ente ecclesiastico Ospedale “F. Miulli” di Acquaviva delle Fonti, attualmente in servizio alla Asl 5 di Valsinni (Mt). Ad eseguire l’ordinanza i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari. Così i fatti ricostruiti dalla Guardia di Finanza: Licenziato per motivi disciplinari il dottor Giannico non riuscendo a essere reintegrato nel suo posto di lavoro attraverso la giustizia ordinaria (il Tribunale del Lavoro) decide di farsi giustizia da solo: medita e mette in atto prima un’estorsione  nei confronti del suo ex datore di lavoro, don Mimmo  Laddaga, 53 anni, responsabile dell’Ente Ecclesiastico, poi, tenta di commissionare l’omicidio del sacerdote sia a esponenti del clan camorristico “Pecoraro”, operante nel Salernitano, sia alla mala tarantina. Agli inizi del luglio 2009, secondo la direzione dell’ospedale Miulli,  il dottor Giannico  falsifica ed altera diari clinici di due pazienti in cura al lebbrosario di Gioia del Colle, per occultare un presunto caso di malasanità a lui attribuito. Don Laddaga è irremovibile e licenzia in tronco il dirigente medico. Un’ingiustizia per Giannico che presenta un ricorso al Tribunale del Lavoro di Bari: una procedura d’urgenza ex art. 700 cpc per bloccare il licenziamento. Il 30 giugno scorso i giudici rigettano la richiesta e il 20 agosto scorso sempre i giudici baresi rigettano il reclamo presentato dal ricorrente contro l’ordinanza del 30 giugno: il licenziamento viene ritenuto giusto. Giannico, a quel punto, decide di farsi giustizia da solo: gli anni trascorsi nel nosocomio per lebbrosi non gli sono serviti solo per accumulare una preziosa esperienza scientifica, ma anche ad accumulare una serie di informazioni sulla gestione dell’ente: storie – secondo Giannico e sulle quali la Procura di Bari ha aperto un’inchiesta parallela – di presunta mala sanità, ma anche di presunta mala gestione, di falsi ricoveri, di presunto sperpero di denaro pubblico (l’ente riceve cospicui finanziamenti dalla Regione Puglia), di patrimoni “distratti”, donati al lebbrosario e messi invece a disposizione del Miulli. Storie attuali, ma anche storie di un passato non poco inquietante: neonati partoriti (Giannico sostiene di essere a conoscenza di almeno due casi) da pazienti dell’ospedale che venivano dichiarati morti dopo la nascita, ma poi dati illegalmente in adozione (anche su questo particolare aspetto la Procura ha avviato un’inchiesta). Informazioni che Giannico raccoglie in un vero e proprio “dossier” – teso a screditare l’Ente Ecclesiastico, ma anche la Regione Puglia – che minaccia di consegnare alla stampa se non saranno accolte le sue richieste di denaro (circa un milione e mezzo) che formula ad un alto prelato tarantino che contatta don Laddaga. Quest’ultimo, però, è disposto a concedere al suo ex dipendente non più di 50mila euro per aver interrotto il rapporto di lavoro senza preavviso. A quel punto il dermatologo tarantino mette in atto più strategie vendicative. Una sul piano per così dire della denuncia alle istituzioni competenti: il dossier viene inviato alla Procura nazionale antimafia, alla Procura di Bari, alla Corte dei Conti, alla Commissione parlamentare d’inchiesta in campo sanitario e all’assessorato regionale alla Sanità. L’altra sul piano della denuncia mediatica: Giannico invia prima una denuncia anonima a firma “di una dipendente del Miulli” che un noto quotidiano, nell’agosto scorso riporta, il titolo è: “Puglia, il lebbrosario fantasma: 300 posti letto, nessun paziente”. Poi inizia a contattare personalmente alcune redazioni di quotidiani nazionali, Il Manifesto e La Padania, nella convinzione che i due giornali politici possano avere (su due versanti completamente opposti) un grande interesse a screditare la struttura ecclesiastico-ospedaliero. Un’azione tesa a gettar fango sull’Ente che doveva servire a convincere i dirigenti dell’ospedale a sborsare la somma richiesta, poi scesa a  600/700mila euro. Ma più don Laddaga resisteva alle pressione, più Giannico contatta la trasmissione di Rai 3, Il male dentro; cerca di  prendere contatti con: la giornalista del Tg3, Maria Luisa Busi, Michele Santoro per Annozero, Beppe Grillo, Striscia la Notizia, le Iene. Ma anche testate giornalistiche come La Repubblica e l’Espresso. Intuito, però, che questa strategia non porta i risultati ottenuti il medico tarantino comincia prima a desiderare e poi a pianificare la morte del suo ex datore di lavoro. Quelle che prima sono solo propositi di morte raccontati al telefono a qualche amico o parente si trasformano in un vero e proprio piano. Così come risulta anche da indagini svolte dai Carabinieri della Compagnia di Lagonegro: il medico tarantino ha contatti con un esponente del clan camorristico salernitano “Pecoraro”. E’  quest’ultimo che presenta a Giannico un personaggio di spicco del proprio clan in grado di poter compiere l’omicidio. Secondo gli inquirenti il medico incontra il possibile killer del prete proprio a Salerno l’8 ottobre scorso. La somma, però, richiesta (non meno di 50mila euro) è troppo alta. I due non trovano un accordo. Per questo motivo l’indagato si rivolge alla mala tarantina, ma comincia a meditare di compiere lui stesso l’omicidio. Di qui la necessità, da parte della Procura di Bari, di dare un’accelerazione all’inchiesta, e quindi arrestate il medico, per proteggere la vita del sacerdote.

 

© Riproduzione riservata 19 Novembre 2010

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