aggiornato il 04/05/2018 alle 14:58 da

Rifugiarsi nel virtuale non è sempre sinonimo di libertà. Anzi.

sextingSexting, un termine entrato tristemente nel gergo comune a causa dei numerosi fatti di cronaca che, negli ultimi tempi, hanno coinvolto soprattutto giovani adulti e teenagers. Si tratta di foto che ritraggono, di solito il protagonista, in pose discinte e allusive che finiscono on-line, diventando, nel giro di poco, virali. Il perché questo accada è difficile da spiegare. Secondo una recente indagine dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, il 25% dei ragazzi – dai 10 ai 19 anni – ricorrerebbe a questa “pratica” per puro esibizionismo. Poiché la loro esistenza e, soprattutto, il riconoscimento del proprio sé, avverrebbe solo mediante un’esposizione mediatica di immagini personali. Più queste sono “forti”, visibili e cliccate, più è grande l’illusoria affermazione della propria identità. Inoltre, ci sarebbe la convinzione di poter dichiarare il proprio amore e la propria appartenenza al fidanzatino del momento, simulando una prova di coraggio, che consisterebbe nell’inviare all’amato un’immagine scabrosa di sè. Sarà purtroppo l’informazione a mostrarci la dura realtà raccontando le sofferenze di adolescenti violati nella loro intimità, di famiglie distrutte, vite rovinate e di un forzato desiderio di oblio. Sempre secondo i dati dell’Osservatorio la responsabilità sarebbe da attribuire per lo più alla mancanza di un’attenzione e di un controllo “adulto”, con un chiaro riferimento prima alla famiglia e poi alla scuola. Tenendo conto che, in base ai risultati del recente sondaggio, la permanenza giornaliera dei ragazzi davanti ad uno schermo di uno smartphone, PC o tablet, andrebbe dalle 7 alle 10 ore, l’allusione ci sembra più che fondata. C’è poi l’inevitabile mea culpa da parte del mondo dell’informazione, sempre troppo scarna nel dare notizie legate al mondo dell’adolescenza o dei minori. Che invece ha bisogno di far emergere le sue distorsioni per aiutare famiglie e addetti ai lavori a correggerle o eliminarle. E non è un caso se, ultimamente, testate come “Famiglia Cristiana” o Associazioni Specialistiche se ne stiano occupando. Il problema c’è e bisogna affrontalo con urgenza e con ogni mezzo. Del resto, è risaputo che l’interazione esclusiva con il “virtuale” ha sostituito la possibilità di generare fra gli adolescenti relazioni basate sull’impiego dei linguaggi verbale e non verbale, la cui conseguenza sarà nota solo negli anni a venire. A questo punto, il pensiero non può che non andare agli altri due fenomeni social più noti come Blue Whale e Hikikomori. Il cui principio fondante è l’autoesclusione dalla vita reale a favore di un mondo virtuale e inafferrabile. Dove l’adolescente crede di poter vivere “liberamente” la reclusione esistenziale a cui si è votato. La cronaca, com’è noto ci restituisce storie drammatiche, per fortuna a lieto fine, di adolescenti e famiglie cadute nella trappola di queste fuorvianti “tendenze”. La riscoperta dei valori esistenziali trasmessi prima di tutto dalla famiglia e poi dalla scuola, autentici modelli relazionali, sono stati, rimangono e rimarranno sempre l’unica via da seguire.

© Riproduzione riservata 04 Maggio 2018