aggiornato il 06/06/2023 alle 11:32 da

Francesca Lacitignola, anima nomade

Spesso la chiamano “anima nomade”, ma a lei questa definizione piace solo in parte. «Mi sembra un livello superiore. Credo solo di essere una persona che prova a fare in modo che casa possa essere in ogni posto». Così si racconta Francesca Lacitignola, monopolitana classe 1993. Questi giorni è di nuovo in città, ma presto il 18 giugno tornerà in Libano dove ha trascorso l’ultimo anno di vita. Un anno ricco dal punto di vista umano. In un paese mediterraneo, fatto di persone aperte, coordinali, ma in profonda crisi. Beirut è una città bella, ma in decadenza. Non più la Parigi del Medio oriente. I giardini, le case ottomane, i musei, ci sono ancora. Sopra di loro però la storia ha poggiato la polvere di una lunga crisi. Strade sporche, povertà diffusa, tanti mendicanti, traffico e molti libanesi che emigrano in paesi migliori…

«Semplicemente non ho accettato il modo tradizionale di vivere – continua Francesca -. L’idea di realizzarsi con una casa, una famiglia, un auto nella propria città. Mi chiamano “anima nomade” perché mi considerano fuori dalle righe e dal tracciato. Il tracciato semplicemente non mi rende felice, perché non mi permette di mettermi in discussione, di migliorarmi. Non mi piace non cambiare, non mi piace quando mi augurano “resta come sei”. Non mi fa sentire appagata».

Sono frasi importanti. Quel che fa Francesca all’estero, quel che ha fatto a Beirut durante questo anno, è qualcosa di non facile. Qualcosa che ti fa confrontare con il dolore e dunque ti aiuta sicuramente a metterti in discussione. Ha svolto il servizio civile all’estero, di fatto il suo lavoro riguardava l’ambito della cooperazione internazionale. In un progetto che legava Caritas di Milano e Libano. Quest’estate ritornerà come operatrice della Caritas ambrosiana nella sezione di aiuto umanitario.

Che cos’è la cooperazione? Ci sono alcuni investimenti pubblici e alcuni privati (quelli provenienti dalle fondazioni per esempio) che vengono destinati a progetti di cooperazione allo sviluppo, cioè che hanno l’obiettivo di portare sviluppo in alcune realtà povere del mondo. Vari i settori in cui questo si realizza: agricoltura, educazione, imprenditoria, inclusione sociale. Francesca è stata coinvolta nel settore dell’aiuto umanitario che riguarda non solo situazioni di emergenza particolari, come un terremoto o un alluvione, ma anche fenomeni ormai stabili nel tempo: flussi migratori e epidemie come l’ebola in Africa.

Lei a questo lavoro ci è arrivata grazie a un percorso lungo. Dice con sincerità e ironia: «Il mio è stato un percorso piuttosto schizofrenico rispetto all’obiettivo. Ho capito cosa volevo fare nel tempo». Ha studiato sociologia a Trento. A Venezia ha seguito un master «bellissimo» sui fenomeni migratori al Ca’ Foscari. Sempre all’università veneziana ha frequentato la Magistrale in servizi sociali. Quindi ha capito che il filo conduttore delle sue tesi era sempre lo studio dei fenomeni migratori, ma con lo sguardo rivolto al di fuori dell’Italia.

Così quest’anno per esempio si è occupata proprio di questo in Libano. Dei fenomeni migratori provenienti per esempio dalla Siria martoriata dalla guerra. È stata in tre centri Caritas. Due riguardavano ex domestiche immigrate da Africa e Sudest asiatico in attesa di rimpatrio. L’altro era un centro per donne e minori provenienti in gran parte dalla Siria. Lo scopo, in quest’ultimo caso, era il reinserimento nel tessuto sociale del Libano, perché in Siria c’è ancora una situazione di conflitto.

Questa non è stata l’unica esperienza all’estero di Francesca. Nel 2014 c’è stata l’esperienza in Tanzania. Tra il 2015 e il 2016 Perù e Bolivia. Tra il 2016 e il 2017 per due volte Francesca va in Grecia nei campi profughi governativi creati per coloro che fuggivano dalla Siria. Dal 2018 al 2019 per tre volte va in Kenya, a Nairobi. Qui svolge anche un tirocinio e lavora alla sua tesi sul campo. Nel 2021 è stata anche in Romania. L’enorme rimpianto è stato non svolgere il servizio civile in Brasile nel 2021. Era tutto pronto, ma a causa della situazione difficile della Pandemia, il Ministero non ha accordato il permesso.

Le esperienze più forti in Grecia e in Kenya, perché Francesca è venuta a contatto con persone che avevano appena vissuto eventi traumatici. «In Libano invece non è stata una passeggiata, ma una maratona. È stata un’esperienza che mi ha messo alla prova sul lungo periodo. Sono entrata in contatto con persone che hanno affrontato il dolore lungo tanti mesi. Le ho viste affrontare alti e bassi in questo percorso».

Ed è qui che entra in campo il tema del dolore, che l’essere umano tende a non voler guardare in faccia o da vicino. «Queste esperienze ti mettono di fronte al fatto che tutto ciò che leggevi o guardavi di sfuggita al telegiornale era fatto di carne e ossa. È reale, realissimo. È pulsante davanti ai tuoi occhi». Francesca sembra molto consapevole delle difficoltà di approcciarsi al dolore: «Io personalmente mi avvicino a queste situazioni con molta prudenza. Senza stigmatizzare la distanza però. Mai dire: “Non potrò capire, quindi mi tengo a distanza”. Bisogna invece dire: «Lasciamo stare il vissuto che ci allontana, lasciamo cadere quel che siamo stati e guardiamo a che possiamo fare adesso”. Certo non dobbiamo fraintendere il nostro ruolo, non sono una psicologa, non è mio compito occuparmi della rielaborazione del lutto. Devo fare quel che mi compete, senza la smania di credere di poter salvare il mondo».

Lei dava una mano allo staff in situazioni ordinarie e straordinarie del centro. Tra le altre attività supervisione e accompagnamento. «Ci occupavamo delle attività da svolgere in questi centri. Da quelle ludico creative, a quelle più specifiche di elaborazione e presa di coscienza del vissuto e di quel che si stava vivendo».

Un fatto che ha colpito molto la nostra concittadina riguarda una ragazza siriana di 26 anni. Tre bambini dai 5 ai 2 anni. Una storia di abusi e violenza da parte del marito e delle altre sue mogli. Una storia che ha ferito la donna così tanto che era sottoposta a cure psichiatriche e non era in grado di occuparsi dei figli. Bimbi che hanno rischiato così di tornare in Siria e per giunta di essere affidati al padre violento. I giudici libanesi, anche per pressioni del governo, tendono in questi casi (e ce ne sono tante di situazioni simili) ad affidare i figli al padre in cambio di una promessa: il ritorno in Siria. Fortunatamente in questo caso però non è andata così. Il padre ha rinunciato a sorpresa all’affidamento e i piccoli potranno aspirare a un futuro diverso. «Spesso vediamo solo gente che si lamenta quando incontra queste persone, ma queste storie ci raccontano un mondo di ingiustizia che ignoriamo totalmente».

Poi non è mancata la possibilità di stringere nuove amicizie. Per ragioni professionali, ma anche di attività di sfiga. Non solo tra i libanesi, ma anche tra gli immigrati siriani e palestinesi. Francesca gioca per esempio in una squadra di basket femminile palestinese.

Infine ci sono stati anche due momenti di paura. Il terremoto che ha colpito la Turchia e Siria qualche mese fa e si è sentito fortemente anche a Beirut. «Non è come in Italia. Dove con i terremoti conviviamo, lì un terremoto è un episodio rarissimo. La gente ha avuto paura. È scesa in strada. Il muezzin ha intonato la preghiera. Tutt’ora una folata di vento o una vibrazione provocano reazioni terrorizzate». Poi c’è stata una situazione di pericolo e di evacuazione legata ai silos del porto di Beirut, crollati per i danni subito dopo le esplosioni del 2020. Invece non ha determinato paura una notizia giunta anche a noi. I razzi di Israele di qualche settimana fa contro il Sud del paese. Sembra che questi episodi, legati a rivendicazioni territoriali, ormai facciano parte della normale vita del Libano. «Per farti capire, io ho saputo di questa vicenda per una telefonata di mia madre».

© Riproduzione riservata 06 Giugno 2023

Non ci sono commenti, di la tua qui sotto!


Aggiungi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commento *
Nome
Email *
Sito web