aggiornato il 13/08/2025 alle 16:28 da

Antonio, un esempio per i giovani

Di fronte al dolore, ogni parola rischia di essere inadeguata. Eppure c’è un tempo, quello del raccoglimento dopo la tragedia, in cui è necessario che il silenzio ceda il passo a una voce. A dieci giorni dall’incidente che ha strappato Antonio Di Cristo, sedici anni appena, all’amore incontenibile della sua famiglia, dei suoi amici e dei suoi compagni di scuola abbiamo incontrato Nicola Di Cristo, il papà di Antonio. In casa di Nicola c’è una costante presenza di amici, parenti, compagni di scuola e di squadra di Antonio. Il dolore si mescola al calore umano di chi, con una visita, un abbraccio, una parola, prova a lenire l’insopportabile. Un viavai continuo, spontaneo, autentico, che restituisce, a chi resta, la consapevolezza di non essere solo.

È in questo clima che Nicola ci riceve, nel tardo pomeriggio di martedì, “Voglio ringraziare tutte le persone che ci sono state vicine. La solidarietà, l’affetto, le parole e i silenzi di questi giorni… Non potevo immaginare che così tante persone ci volessero davvero bene”, dice ancora profondamente commosso. Nicola cerca le parole con misura, è un fiume di ricordi. Pensa al destino e alla beffa di un incidente avvenuto a 100 metri da casa. Il pensiero vola ad una vita complicata nella quale finalmente, dopo anni, la sua famiglia era riuscita a trovare un nuovo equilibrio, archiviando le pagine difficili di legami interrotti che hanno lasciato lo spazio ad una nuova vita vissuta con la prospettiva, finalmente, di  poter essere finalmente felici. “Vorrei che il ricordo di Antonio non si spegnesse. Che potesse vivere ancora, in una dimensione nuova, magari diventando uno stimolo per altri ragazzi, un riferimento nei momenti difficili. Antonio ha saputo scegliere il bene, ha saputo sognare e coltivare quei sogni, grazie anche al nostro amore, alla nostra presenza. Oggi sento che potremmo continuare a dargli voce… attraverso qualcosa che aiuti altri giovani a crescere”.

Antonio, del resto, è stato un bell’esempio di capacità di convertire l’energia e la vivacità, in sentimenti profondi. Ha imparato a rispettare le regole, ha scoperto la soddisfazione ed il valore di superare un’interrogazione con profitto. Di aiutare un compagno di squadra in difficoltà, o di accompagnare (a piedi, perché il motorino era vietato) a tarda ora una ragazzina a casa, per proteggerla. Il cuore grande di Antonio si è espresso in mille modi, un cuore capace di alimentare i sogni e l’ambizione. Gli piacevano i motori, le auto. Ma il suo futuro sarebbe stato il calcio. “Diventerò un calciatore professionista”, diceva rassicurando la famiglia su un futuro nel quale si sarebbe occupato lui di tutto. Era sempre più orgoglioso di aver intrapreso al via giusta per diventare un uomo di cui essere orgogliosi. Premuroso e dolce con i compagni, trasferiva con il suo sorriso la genuinità di chi sta per scoprire il mondo senza paura.

Nicola si illumina parlando di Antonio, lui che è stato capace di essere compagno di giochi, ma anche riferimento intransigente e rigido su alcuni aspetti educativi. “Stavo facendo di tutto per evitare che si facesse un tatuaggio. Io ne ho tanti, ma sono adulto la mia vita ormai l’ho vissuta.. Gli dicevo che doveva aspettare e che un tatuaggio avrebbe potuto metterlo in difficoltà in futuro, se ne sarebbe potuto pentire o avrebbe potuto avere delle limitazioni nei concorsi… Mi ero spinto perfino a chiamare il tatuatore per chiedergli la cortesia di soprassedere, di prendere tempo…” racconta Nicola. Poi, dopo qualche settimana Antonio torna a casa con un tatuaggio sulla parte interna del braccio. Raffigurava gli occhi di suo padre e riportava un’unica scritta: Nicola. Un episodio che non ha bisogno di commenti.

In questa storia di legami profondi, si registra anche l’amarezza di un paradosso che amplifica il dolore. Tutti, infatti, sapevano che Nicola aveva vietato ad Antonio di salire sulle moto. Né alla guida né come passeggero. Una sera Nicola arrivò perfino a rimproverare e a mettere in guardia i suoi compagni: “Antonio non sale sulle moto, se no sono guai”, furono le parole all’indirizzo della comitiva che il papà raggiunse una sera nel parcheggio dei licei, dove si ritrovano molti adolescenti. La sera, talvolta, Antonio era costretto a rientrare prima quando i suoi amici andavano in moto a Polignano. “Non gli avevo mai consentito di andare in moto, nemmeno con gli amici. Lo sapevano tutti. Era una regola non negoziabile. Mi è sempre sembrato un rischio troppo grande. In quel modo cercavo di proteggerlo. E invece, in quella maledetta mattina…”, si interrompe Nicola, che poi riprende … “quello che doveva essere un giro banale, da Rampavilla al Grand Hotel d’Aragona, si è trasformato in una tragedia. Una sintesi brutale di ingiustizia e dolore. Inaccettabile. Incomprensibile”. Un divieto, rispettato a lungo, infranto in un giorno come tanti che rende ancora più amaro l’addio. Ma nel cuore di Nicola non c’è spazio per il rancore. Solo per l’amore. E per la riconoscenza verso chi ha saputo stargli vicino. “Se non ci fosse stata questa vicinanza, non so se ce l’avrei fatta. E devo un grazie speciale a Franca», dice voltandosi verso la sua compagna. «Con lei Antonio aveva un rapporto speciale. Una complicità vera. E nei momenti in cui io ero lontano, per lavoro, Franca era la sua guida, la sua voce, il suo conforto. A lei Antonio ha scritto uno degli ultimi messaggi. Forse l’ultimo: un semplice buongiorno. Prima di salire su quella moto maledetta.”

Le parole, in casa Di Cristo, si mescolano alle emozioni. Ma c’è qualcosa di più: un piccolo miracolo, quello di aver riportato tante persone a condividere uno spazio di umanità, in una società che sempre più spesso si mostra indifferente alla sofferenza. Antonio, nel suo essere semplice, è riuscito ad avvicinare mondi, a far nascere una comunità attorno a sé, anche nella morte. E il suo nome potrà essere ancora seme di bene. Nicola Di Cristo e la sua famiglia ora cercano un modo giusto, sobrio, profondo, per restituire al figlio la forza della memoria che diventa esempio. Perché Antonio, nella breve parabola della sua esistenza, ha saputo incarnare la possibilità di crescere bene, di scegliere il giusto, di credere nei sogni. E oggi, mentre il dolore abita le stanze della sua casa, resta una luce che nessuna notte, nemmeno la più difficile, potrà spegnere: quella dell’amore.

© Riproduzione riservata 13 Agosto 2025

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