aggiornato il 28/11/2010 alle 8:56 da

L’amico di Nino Rota e quell’Oscar nascosto tra i pelati

Da-sinistra-Peppino-Decataldo-e-Nino-Rota-mentre-mangiano-il-polpo-a-Torre-a-MarePUTIGNANO – Il mondo gli riconosce una genialità musicale indiscussa e un carattere schivo, che poco ha concesso alla mondanità. Eppure su Nino Rota, premio Oscar per la colonna sonora de “Il Padrino – Parte II”, esiste anche un racconto diverso, ricco di aneddoti e inaspettati sorrisi. A fornircelo è il putignanese Peppino Decataldo che è stato l’autista, il factotum, l’ombra fidata del compositore scomparso nel 1979. Peppino ci ha aperto l’album dei ricordi, ripercorrendo la sua storia dal 1957, quando ventunenne diveniva custode del conservatorio di Bari, al 1992, anno della pensione. Di mezzo l’amicizia con Nino Rota e la storia curiosa dell’ambita statuetta tenuta nascosta per 5 anni tra le bottiglie della salsa. A farci compagnia in questo piacevole “amarcord” è il maestro violoncellista Vito Amatulli, Cicerone musicale della chiacchierata ed Enza Decataldo, primogenita di Peppino. Nino Rota si era rifiutato di andare ad Hollywood per ritirare l’Oscar e così glielo avevano spedito. Ma il giorno in cui la statuetta doveva arrivare al porto di Bari, “il maestro era malato – racconta Peppino – allora andai io al suo posto. Ho avuto l’onore di tenere in mano l’Oscar”. Rota, totalmente disinteressato alle luci della ribalta, aveva lasciato il premio in custodia della famiglia Decataldo. “Non sapevamo dove nascondere la statua – racconta – allora l’abbiamo tenuta nelle bottiglie della salsa. E’ come se il maestro l’aveva lasciata a me, ma io volevo stare apposto con la coscienza e quando è morto la consegnammo agli eredi, una cugina di Milano”. Peppino alloggiava con la moglie Maria e le tre figlie presso il conservatorio, Rota aveva una stanza al piano superiore, “ma mangiava con noi – dice Enza – cioè noi pranzavamo alle 12, lui alle 2 del pomeriggio, da solo. Io e le mie sorelle, piccole, lo spiavamo perché incuriosite, allora lui ci diceva ‘venite qua se mi volete spiare'”. Un uomo che, non avendo una famiglia sua, si è lasciato adottare da quella di Peppino. “I primi anni lo portavo in giro in Lambretta – racconta Decataldo – solo dopo comprai la Cinquecento. Quando fischiettavo qualcosa nella macchina, il maestro voleva che la ripetessi”. Ed è anche grazie al nostro concittadino se Rota sia rimasto alla direzione del conservatorio barese. A Roma si era liberato un posto per direttore, ma poco prima che Rota andasse a firmare, Peppino si presentò sotto casa sua, in piazza delle Coppelle, con una settantina fra professori e studenti. “Maestro affacciati al balcone” gli disse, e al genio della musica non rimasero che lacrime di commozione.
© Riproduzione riservata 28 Novembre 2010

1 Commento

  1. Quando frequentavo le scuole medie, la mia professoressa di musica (una dei figli di Peppino Decataldo) ci raccontò questo particolare durante una sua lezione. Peccato che all’ epoca molti di noi erano ragazzi distratti e disinteressati, che non potevano capire il valore di racconti come questo.


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